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Il futuro della cucina

Una cucina del futuro con meno tempo ai fornelli e talvolta senza nemmeno accendere il gas. Nel terzo millennio mangeremo semi, cereali, come nell’era preistorica, mentre chi porta a tavola ancora lasagna e cannelloni lo farà magari con la besciamella in polvere, pronta a freddo aggiungendo acqua. E’ una delle novità presentate dall’industria alimentare al Cibus che si conclude alla Fiera di Parma. In tempi di gran moda degli chef, il 17/mo Salone internazionale dell’Alimentazione lancia paradossalmente la cucina pronta, facile da preparare, che tuttavia evoca tipicità, come le panelle siciliane che ora si troveranno nel banco surgelati. Testimonial 2014 della globalizzazione in fiera – Cibus che si chiude con un bilancio positivo (oltre 67mila visitatori professionisti, +12% rispetto a precedente edizione del 2012, con i buyer esteri che salgono di mille unità per un totale di 11mila) – il gorgonzola che sposa cultura orientali, come ha dato prova lo chef Tatsumoto, maestro dell’arte del sushi, con il sushizola e il taleggiomaki, una fusion tra formaggi lombardi e la tradizione culinaria del Sol Levante.
”Mangeremo semi, come già avviene negli Stati Uniti dove impazzano i superfruits, dalla quinoa all’amaranto, un cereale senza glutine, fino alla chia che ha un contenuto di calcio 5 volte superiore al latte e, per misura, si presenta più piccola del miglio e se saltata in padella senza olio scoppia, formando mini pop corn più light di quelli ora in uso”. A prefigurare la tavola degli italiani sempre più cerealicola ma con cotture salvaminuti è il responsabile marketing del gruppo Pedon, Luca Zocca, secondo il quale ”a fine 2013, anno dichiarato dalla Fao della quinoa, il successo della coltura tipica degli altopiani di Perù e Bolivia è stato tale da spingere alcuni coltivatori in Campania e in Francia a sperimentare le prime coltivazioni sul territorio europeo”. Si tratta, ha spiegato, del boom di un regime alimentare vegetariano molto proteico nutrizionalmente.
La quinoa, che ad Expo 2015 avrà un cluster, ad esempio ha l’intera catena degli aminoacidi, caratteristica normalmente delle proteine animali, e questo ne fa ”un alimento complesso”. Punta a facilitare la vita degli esercenti dei wine bar, dei chioschi balneari, o dei localini senza la licenza per cucinare, la proposta dello chef stellato Moreno Cedroni, l’uomo del ”susci” all’italiana. Polpo pronto, baccalà cotto,, o una pietanza di seppie e gamberi d’autore vengono distribuiti sottovuoto; e con 5 secondi al microonde si porta a tavola una specialità del cuoco marchigiano risparmiando personale in cucina e gas. In pratica occorre aggiungere solo un filo d’olio a crudo e prezzemolo. Tra le nuove tendenze alimentari Cibus segnala anche i ”cibi senza’’. Dalla mozzarella senza lattosio al panettone senza glutine sono circa 130 gli espositori raccolti nell’area per la prima volta dedicata al ‘’Freefrom’’, per i consumatori che per scelta o necessità salutistiche hanno messo al bando lattosio, zuccheri, sale, e glutine.

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Nasce Il sindacato dei Cuochi.

Si chiama Unione cuochi italiani. È il primo sindacato dei cuochi italiani, nato su iniziativa di Emanuele Esposito con l’appoggio e il contributo di seri professionisti, testate specializzate e associazioni di categoria

 

Sul tema delle divisioni tra le diverse associazioni di categoria e della mancanza di uno spirito di squadra, torna a parlare Emanuele Esposito, general manager de Il Villaggio di Jeddah, in Arabia Saudita, che stavolta annuncia la nascita del primo sindacato dei cuochi italiani: “Unione cuochi italiani” (Uci). Un gruppo di lavoro costituito da cuochi seri, che si impegnerà a tutelare maggiormente i diritti della categoria e che lascia aperta la porta alle altre associazioni di categoria e a tutti coloro che vogliono entrare a far parte del sindacato impegnandosi a seguirne le linee guida.


“Unione cuochi italiani” (Uci): questo è il nome del primo sindacato dei cuochi italiani. Insieme a tanti colleghi stiamo mettendo a punto le prime fasi della costituente del gruppo di lavoro, che ci porterà al primo congresso dove stabiliremo le linee guida, programmi e gruppo dirigenziale.

Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che in questi giorni ci stanno scrivendo per chiedere informazioni. Ribadisco che Uci è un gruppo sindacale di tutti i cuochi, ad oggi nessuno è presidente, le cariche saranno discusse nel primo congresso che ci auguriamo avvenga prima dell’autunno prossimo. In questo momento siamo nella fase di organizzazione, quindi tutti possono entrare a far parte come “soci fondatori”, nessuno escluso.

Questo è un sindacato dei cuochi, l’invito quindi è aperto a tutti, anche alle associazioni. Peccato però che nessuna ufficialmente abbia mostrato segnali di adesione a tale iniziativa, tranne Cim (Chef italiani nel mondo) e Uir (Unione italiana ristoratori). Ma io sono uno che non demorde e sono speranzoso.

Con questo comunicato voglio ringraziare tutti i colleghi che hanno aderito subito a tale iniziativa, voglio ringraziare le testate Italia a Tavola e InformaCibo e il gruppo Cim per la loro disponibilità a pubblicare i nostri comunicati.

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Lettera Aperta

Cari Amici e Colleghi,
 
Il mio recente invito di costituire un sindacato di categoria, appello che ho rivolto a tutte le associazioni, ad oggi non ho ricevuto nessuna riposta in merito.
E’ evidente che non c’e’ la volontà seria di prendere posizioni serie per DIFENDERE e DARE alla categoria una maggiore importanza e sopratutto valorizzare  il nostro lavoro.
Le grandi associazioni che ergono a difensori della nostra categoria non sono altro organi di pubblicità altrui, e’ evidente che non vogliono assumersi responsabilità serie, cosa hanno fatto per la nostra categoria?
 
Insieme ad atri amici seri cuochi stiamo per costituite il primo sindacato dei cuochi Italiani, a giorni presenteremo sia lo statuto che il logo, sottoporremo a tutti gli amici cuochi la nostre proposte e idee, mi auguro che in quella occassione ci sia da parte di tutti più collaborazione, il mio e quello degli amici che hanno aderito ha un solo scopo portare la nostra categoria al centro della vita sociale del nostro Paese, dare più diritti, lavorare per un Albo professionistico, collaborare con le Scuole Alberghiere, puntare  a far cambiare il contratto apprendistato che alla luce dei fatti e’ una presa in giro.
 
Chi si riconosce in questi primi punti e’ benvenuto nella famiglia, le porte sono aperte a tutti e tutti possono contribuire alla crescita e al futuro della Categoria dei cuochi senza pregiudizi, le critiche sono ben accettate se sono inerenti alla vita sindacale, noi non giudichiamo le persone, vogliamo avere l’unico compito essere affianco dei nostri colleghi perché anche noi siamo cuochi e conosciamo bene la realtà che si vive.
 
Non vogliamo creare una nuova associazione, ma un gruppo di lavoro dove tutte le associazioni devono fa parte in maniera attiva, a tutti coloro che hanno a  cuore il lavoro dei cuochi siete i benvenuti.
 
Non fermiamo il nostro futuro e il futuro dei nostri figli!

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I cuochi hanno bisogno di un sindacato

Non si può andare avanti in questa maniera. Siamo una categoria fuori da ogni organismo sindacale, non è possibile che abbiamo dei contratti vecchi e non equiparati alla categoria. Mi rivolgo a tutte le associazioni

 

Non mi stanco di ripeterlo e lo farò fino all’ultimo mio respiro, non si può andare avanti in questa maniera. Siamo una categoria fuori da ogni organismo sindacale, non è possibile che abbiamo dei contratti vecchi e non equiparati alla categoria. Mi rivolgo a tutte le associazioni: finiamola una volta per tutte di fare del protagonismo da cabaret del sabato sera, le prime donne lasciamole fare ad altri, qui c’è in gioco la vita di milioni di cuochi, c’è in gioco la vita stessa di questo mestiere. Non si può lavorare ore ed ore nelle cucine esposti a tanti rischi sulla salute. È mai possibile che nessuna associazione abbia mai portato alla luce le problematiche dei rischi a cui siamo esposti ogni giorno?

È ora di creare un sindacato tutto nostro che abbia l’unico scopo di salvaguardare la nostra categoria e di far creare un Albo dei cuochi, che faccia rivedere tutta la struttura dell’apprendistato (così com’è, è solo una presa per i fondelli), che faccia un lavoro di formazione con le scuole alberghiere in modo diverso. Non tutti i cuochi o chef guadagnano fior di euro e vanno in tv (ma questo capitolo lo lascio per il prossimo articolo…).

Oggi nasce la vera sfida, che rivolgo a tutte quelle associazioni serie italiane: aprire un dibattito su questo argomento. Vediamo chi ha veramente a cuore le sorti della nostra categoria. Mi rivolgo anche ai gruppi degli chef nel mondo (Cim e Gvci): già in passato abbiamo affrontato questo argomento, vediamo oggi chi ha il coraggio.

Al direttore di Italia a tavola rivolgo il mio pensiero ultimo. Caro direttore, lei è pronto per questa sfida, ne sono sicuro. Apriamo un dibattito serio sull’argomento. Il mio impegno sarà da oggi costante, farò tutto il possibile che ciò avvenga e le annuncio che non mi fermerò solo al sindacato. La partita è aperta!

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Aspartame

Aspartame….un grande rischio da non sottovalutare.

Sia il ministero della pubblica istruzione e sia quello della sanità hanno l’obbligo di informare i giovani e non solo, attraverso i messi più conosciuti tra i giovani, e magari anche facendo dei corsi nelle scuole, ma come si sa dietro a. Un business c’è sempre una lobby.

Noi cuochi e personale che lavora nel mondo della gastronomia abbiamo l’obbligo di informare i nostri clienti sui rischi, magari aggiungendo nei Menù la dicitura contiene aspartame magari anche la percentuale, la comunità Europea ci impone delle regole ma perché questa no?
Meditate e alla prossima bibita pensateci bene.

I sospetti che l’aspartame, come altri dolcificanti artificiali, fosse nocivo alla salute c’erano già. Da più parti si era paventato che questa sostanza potesse provocare il cancro.

Recentemente due nuove ricerche hanno gettato altre ombre inquietanti sull’aspartame.

L’aspartame è un dolcificante contenuto in diverse migliaia di alimenti industriali, soprattutto quelli definiti “light”, ovvero leggeri (verrebbe da chiedersi da quale punto di vista…), che vanno dalle bevande analcoliche agli yogurt, passando per una miriade di dolciumi e snack, tra cui chewing gum e caramelle. L’aspartame è presente persino in molti alimenti per l’infanzia e in svariati farmaci, in primo luogo quelli per bambini.

Un grande studio condotto in Danimarca su 60.000 ha scoperto che l’uso abituale di dolcificanti artificiali in gravidanza incrementa il rischio di parto prematuro di una percentuale che va dal 38 al 75%, a seconda delle quantità ingerite. Considerando che le donne incinte sono tra i maggiori consumatori di dolcificanti, che vengono preferiti allo zucchero nel tentativo di evitare di ingrassare in gravidanza, c’è di che riflettere.

Un’altra recente ricerca, in questo caso svolta in Italia dall’Istituto Ramazzini, punta il dito sui legami tra uso di aspartame e aumento significativo di tumori, in particolare di fegato e polmone.

Ormai da un decennio l’Istituto Ramazzini si dedica allo studio dell’aspartame e già nel 2007 aveva messo in luce un aumentato numero di leucemie e linfomi nei topi a cui era stato somministrato questo dolcificante. La nuova ricerca, anch’essa eseguita sui topi, ha evidenziato che gli animali da laboratorio che avevano assunto alte dosi di aspartame nel corso della loro vita hanno sviluppato un carcinoma epatico nel 18% dei casi e un tumore polmonare nel 13%.

L’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), che ha sede a Parma, dopo la ricerca del 2007 aveva emanato notizie tranquillizzanti sull’utilizzo dell’aspartame. Da più parti si attende adesso un nuovo parere dell’EFSA, che si auspica improntato se non altro al principio di precauzione (ovvero, non si usa un prodotto sospetto finché non si è dimostrato sicuro e non, invece, lo si utilizza finché non si scopre definitivamente che è pericoloso).

Nel frattempo c’è una domanda che, un po’ provocatoriamente e nello spirito della naturopatia, ci sentamo di porvi: perché non smettere del tutto di dolcificare? L’abitudine al sapore dolce, così come quella al salato, si acquisisce e si perde facilmente. E’ sufficiente provarci con gradualità. Basta cominciare a togliere un singolo granello di zucchero o di dolcificante dal nostro cucchiaino o dalla bustina. E ricordarsi di farlo anche domani, dopodomani e il giorno successivo ancora. Da un giorno all’altro non verrà percepita alcuna differenza di sapore e in un mese si sarà eliminato, completamente e senza sacrifici, lo zucchero o il dolcificante, rinunciando a sostanze che per l’organismo non hanno alcuna utilità dal punto di vista nutrizionale e fisiologico e guadagnandone in salute.

E quando ci si godrà (saltuariamente, beninteso…) una fetta di torta – meglio se fatta in casa con ingredienti genuini – o un gelato – possibilmente artigianale – lo si potrà fare a cuor leggero, in sicurezza e tranquillità. Perché non è quello che facciamo una volta ogni tanto che inciderà sulla salute, ma ciò che ripetiamo tutti i giorni della nostra esistenza.

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DA VINITALY UN PREMIO SPECIALE A GIUSEPPE QUINTARELLI, IL GRANDE MAESTRO DELLA VALPOLICELLA

Un premio che è un riconoscimento a una vita vissuta per il vino, ma anche un modo per ricordare un viticoltore che in eredità ha lasciato anche la sua profonda umanità.

La consegna stasera, alla cena di gala alla vigilia di Vinitaly

DA VINITALY UN PREMIO SPECIALE
A GIUSEPPE QUINTARELLI, IL GRANDE MAESTRO DELLA VALPOLICELLA

Un premio che è un riconoscimento a una vita vissuta per il vino, ma anche un modo per ricordare un viticoltore che in eredità ha lasciato anche la sua profonda umanità.

Verona, 24 marzo 2012 – «Giuseppe “Bepi” Quintarelli è stato un vero grande maestro della Valpolicella, il primo artigiano del vino che fin dagli anni ’60 ha fatto conoscere le perle dell’enologia veronese, con il Recioto Amarone, fin nei migliori ristoranti d’America». Queste le motivazioni professionali alla base del Premio Speciale Vinitaly assegnato quest’anno da Veronafiere.
Ma Quintarelli, morto nel gennaio scorso, era anche altro: «Umile, schivo e riservato anche nei momenti di maggiore successo – si legge ancora nella motivazione -. Anche per questo ha creato il mito dei suoi vini. Le parole chiave del suo “essere” sono state: amore, semplicità e pazienza. Amore nei confronti della terra volto alla ricerca della perfezione. La semplicità nei gesti e nelle scelte, senza artifici, anche nelle sue numerose opere di solidarietà. La pazienza ed il rispetto dei tempi che il vino e la qualità esigono.
Un uomo sereno, assalito dall’ansia di ottenere il miglior risultato finale solo nel momento in cui il vino veniva messo in bottiglia perché, per il Bepi, “solo il meglio è sufficiente”: nil satis nisi optimum.
I suoi vini, sempre emozionanti, hanno fatto la storia e scandiscono i tempi della Valpolicella».
La consegna del riconoscimento stasera, alla cena di gala di Vinitaly.

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Il riso a Latina

Un evento unico nel suo genere, reso possibile grazie alla collaborazione tra la giornalista Tiziana Briguglio e il grande maestro di cucina Gabriele Ferron per non perdere e rendere allo stesso tempo accessibile a tutti la memoria storica ed enogastronomica del territorio pontino e della tradizione veneta. Prevista nell’ambito delle manifestazioni allestite in occasione della 46° edizione del Vinitaly, la serata ospitata presso la Riseria Ferron negli splenditi locali de La Pila Vecia, sara’ infatti dedicata ai bonificatori delle paludi a ricordo dell’immane lavoro svolto che tra disagi e difficolta’ permise la nascita, tra gli anni venti e trenta, di cinque nuove citta’: Latina, Sabaudia, Pomezia, Aprilia e Pontinia. Pionieri, gente semplice e umile originaria prevalentemente del Veneto e del Friuli che scelse di spingersi fin nell’Agro Pontino, in virtu’ di un regolamento sulle migrazioni interne voluto da Mussolini per strappare alle acque chilometri di terre comprese fra i Monti Lepini e Ausoni, il Mar Tirreno e il promontorio del Circeo e farne dei campi coltivati fertili e rigogliosi. Origini testimoniate anche dai nomi dei borghi venuti alla luce al posto della palude quasi a non voler staccare quell’ideale filo di congiunzione con i luoghi natii. Piave, Podgora, Isonzo, Vodice sono l’esempio di una sfida difficile e solo apparentemente impossibile oggi premiata dal successo di produzioni orticole, olearie, vitivinicole, casearie e zootecniche esportate e conosciute in tutto il mondo. Da qui l’idea di un vero e proprio gemellaggio culinario suggellato dalla realizzazione di un menu pensato dal maestro Ferron per coniugare i prodotti tipici di questa porzione del Lazio meridionale con il riso vialone nano veronese, erede e fautore di ricordi ed emozioni impossibili da dimenticare. Tra i piatti che gli ospiti potranno gustare, le Verdure del “Triangolo d’oro” (Terracina, San Felice e Sabaudia) pastellate con farina di riso, le Nuvolette, il Carpaccio di bufala all’olio extravergine di oliva Dop Colline Pontine, la Salsiccia secca di maiale nero casertano, un tris di risotti al formaggio di pecora dell’Agro Pontino, ai carciofi romaneschi di Sezze Igp ed erbe aromatiche e alla salsiccia al coriandolo di Itri; il Brasato di bufala con timballo di riso e il Semifreddo con fragole favetta di Terracina. In ogni pietanza, il vessillo di una qualita’ autentica e assoluta, fortemente voluta e ricercata, che rispecchia i sapori della terra e il carattere di chi con passione continua a prendersene cura.

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Formaggi Killer

Ho letto questa notizia, non e’ nuovo che in Romania fanno i formaggi dei formaggi, la cosa che mi suona strano pero’ e che la UE non dica nulla, se nn sbaglio la Romania fa parte del gruppo Europeo e quindi come per l’Italia deve stare a a certe regole imposte da Bruxelles, almeno io credo.

Allora la mia domanda sorge spontanea alla Lubrano, queste regole valgono per tutti a solo per alcuni Paesi?

E’ mai possibile che il Parlamento Europeo ci rompi….per cose assurde, tipo che la Piazza non puo’ essere cotta con il forno a legna perche’ cancerogena, e la Romania possa produrre questo schifo per la salute anche di questi stessi Parlamentari Europei.

Un piccola considerazione, non capisco come mai questi prodotti entrano nel mercato comune senza che nessuno controlli,e’ ora che si ritorna alle regole doganali, perche’ a rimetterci non solo e’ la salute ma ci rimettiamo anche di tasca e d’immagine, ricordo che molte aziende produttrici di formaggi hanno le loro fabbriche in Romania e pagate dai contribuenti Italiani, attraverso un ente sotto il controllo del ministero sviluppo.

La Romania è un Paese in cui ancor prima che nasca un vero e proprio giornalismo consumeristico, i giornali arrivano ad offrire ai propri lettori una invidiabile informazione di pubblica utilità, senza stare a pesare quanto e a chi questa possa dar fastidio. Capita in questi giorni che una delle testate rumene più popolari del web, Evz.Ro abbia deciso di vuotare il sacco senza mezzi termini a proposito dei formaggi cosiddetti “fusi” (quelli che da noi chiamiamo “sottilette”, per intenderci, ndr), denunciando una composizione fatta “di latte di scarsa qualità”, di “composti che impediscono la fissazione del calcio nelle ossa” e di “conservanti che possono causare il cancro”.

La testata web rumena mette in guardia i lettori dal nutrirsi e soprattutto dal nutrire i bambini con quel genere di prodotto, definendolo una vera e propria “bomba per l’organismo umano, in grado di alterare gli enzimi e di influenzare il metabolismo della crescita”. Un formaggio prodotto riciclando rimanenze di produzione di altri formaggi, “trasformati a lungo con sali di fusione che contengono composti come citrato e fosfato, ricchi di sale, con concetrazioni pari a tre grammi di sale per cento grammi di prodotto”.

“L’eccesso di sale nei formaggi trasformati”, racconta Evz.Ro, comporta “malattie cardiache e alcuni tipi di cancro”. Per di più, in questo genere di prodotto “la qualità del latte è molto discutibile”; “in pratica si tratta di scarti fusi derivanti da precedenti processi industriali del latte, che nulla hanno a che fare con quello che si possa pensare essere un formaggio”.

Se questo non bastasse, “un altro problema di questo tipo di prodotto”, prosegue il giornale rumeno, “consiste nella grande percentuale di grasso cattivo, responsabile dell’ostruzione delle arterie”.

Leggere le etichette di questi prodotti dovrebbe bastare a starne lontani almeno un miglio: “55% di grassi, acqua, formaggio, latte scremato, 5% di prosciutto (maiale e spezie naturali, sale), conservanti E250, E451 e stabilizzanti E450, antiossidante E361, amido, sale di fusione E452 e E331, E330 correttore di acidità”. “L’E250”, spiega Evz.Ro, “è un conservante che distrugge la microflora dei bambini, può far collassare la loro immunità e indurre un alto rischio di infezioni. Inoltre, i nitriti, una volta nell’organismo, portano alla formazione delle N-nitrosamine, che aumentano il rischio di cancro”.

Secondo un recente studio condotto dalla rumena Anpcpss (Associazione nazionale per la protezione dei consumatori e la promozione di programmi e strategie) questo genere di formaggio può avere sino a tredici additivi.

In un Paese come il nostro, in cui le pubblicità delle “sottilette” imperversano sui grandi media ci appare assai improbabile che un’informazione di tale utilità possa mai raggiungere il grande pubblico. Peccato, perché stando così le cose possiamo intravedere, al di là delle tasche piene per qualche editore, un danno sociale che non potrà che ricadere sulla collettività. Fatta salva quella sottilissima fetta di mercato rappresentato dai consumatori più consapevoli che magari un giorno, qui o su una testata rumena, potranno apprendere di tanto orrore.

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Kava e non solo…un viaggio nella tradizione

 

La Kava o il Kava (o Yaqona o Sakau o Kawa Kawa) è una bevanda antichissima, a base di un’erba (Piper Methysticum), molto gradita alle famiglie reali del Pacifico del Sud. Si pensa sia originaria della Melanesia, anche se è da molto tempo radicata anche nelle isole della Polinesia. Anche se è stata bevuta per secoli dagli isolani, soltanto durante il viaggio del capitano Cook nel Pacifico nel 1768-1771 l’ uomo bianco è venuto a conoscenza della pianta e del relativo consumo nelle cerimonie sacre. Secondo una descrizione di Cook: << i nativi hanno masticato e pestato la radice di questa erba mescolandola con l’acqua per ottenere una brunastra, spesso amara bevanda da consumare per le relative proprietà psicoattive. >> Una bevanda calmante dagli effetti medicinali provati, che combatte l’ansia e l’affaticamento in modo naturale. I principi attivi di questo antideprimente combattono i pensieri cupi e portano in una felice condizione di calma e tranquillità. La Kava è straordinaria per il trattamento di alcune emicranie e crampi muscolari e soprattutto rilassa il corpo mantenendo però la mente lucida. 
Questa bevanda tradizionale svolge ancora un ruolo chiave nelle società Fijane, Samoane e Tongane, nella quali viene bevuta durante le cerimonie per onorare gli ospiti, unire i partecipanti e rafforzare le identità sociali. 
La pianta fa parte della famiglia del pepe nero, il cui principio attivo si chiama kavalattina e si trova concentrato nelle radici. Le radici asciugate vengono pestate sino a ridurle in polvere che ora viene venduta anche in sacchetti nei supermercati locali o spedita in tutto il mondo da ditte specializzate. 
Una delle Kava di migliore qualità si chiama ” Waka “, e contiene la più alta concentrazione di kavalattine (per il piacere del bevitore !). 
Quando gli Europei stabilirono i primi contatti con le isole del Sud-Pacifico nella prima metà del diciottesimo secolo,  scoprirono che la Kava svolgeva un ruolo centrale nella vita politica, sociale e religiosa degli isolani, (Lebot, 1992: 1).  Un certo numero di produttori e di studiosi hanno tentato di descrivere questa pianta e le relative proprietà, dando origine alle varie teorie sugli antichi e moderni usi. Molte scrittori hanno esaminato il ruolo culturale della Kava, influenzato purtroppo oggi dall’uso ed abuso dell’ alcool, introdotto dai bianchi. 
La Kava è così radicata in Oceania che può essere vista come un frammento di cultura che collega tutte le genti del Pacifico attraverso migliaia di miglia di oceano. Si pensa che abbia un ruolo sociologico paragonabile all’ uso di peyote in molte tribù native dell’America, o al masticare della coca in Perù o ancora all’ uso di oppio il Medio Oriente ed in Asia. Anche se l’ uso della Kava è diminuito a causa delle proibizioni dei missionari e all’introduzione degli  alcolici,  (prima sconosciuti in Oceania),  è ancora largamente consumata,  particolarmente in Polinesia occidentale sia durante le cerimonie convenzionali che informali. Ultimamente l’interesse per la Kava è molto aumentato poichè dopo l’indipendenza politica dall’Inghilterra si cerca di far rivivere le tradizioni etniche, che erano state soffocate dai missionari e dalla colonizzazione. La bevanda della Kava mantiene dunque una posizione importante come bevanda sociale, come medicina per vari malattie e come rilassante in isole come le le Fiji, Tonga e Samoa.


Tradizione:

La Kava è presente in tutti i raduni ricreativi e sociali. È usata come bevanda sociale dai capi e dagli anziani di alto rango, così come anche dalla gente comune, è bevuta come forma di benvenuto per gli ospiti, consumata durante la preparazione ed il completamento di un evento o di un lavoro, rafforza l’unione, festeggia le nascite, i matrimoni (nel 1998 sono stato invitato ad uno di questi nell’isola di Taveuni, nelle Fiji), celebra i funerali, allevia lo sforzo, cura le malattie, le nevrosi. 
Alle Hawaii, la Kava è bevuta durante le cerimonie divinatorie, durante l’assegnazione di un nome ai bambini di un anno, durante la consacrazione di un bambino maschio, o durante l’ iniziazione delle giovani ragazze accompagnata dai canti tradizionali e dall’ hula (danza). 
In Tikopia (Isole Salomone), la Kava afferma i simboli sacri e può essere usata come libagione religiosa mentre talvolta viene versata sulla terra anziché bevuta. È bevuto anche durante i rituali tra consanguinei oppure tra i membri di uno stesso stato sociale nonchè durante le pubbliche punizioni ad un misfatto. Molta gente veniva perdonata dai loro crimini dopo una cerimonia di Kava. 
La condivisione della ciotola di Kava rinsalda le amicizie lenendo timori, odi e asti a tutto vantaggio di un sano tessuto sociale. 
Sull’ isola di Wallis (Polinesia Francese), le decisioni ufficiali sono prese durante una cerimonia di Kava con la quale ci si riconcilia con i nemici ristabilendo la pace. Anche qui, coloro i quali hanno commesso un crimine hanno il permesso (spesso) di andare in giro liberamente, grazie alla cerimonia della Kava. 
La Kava è solitamente l’ unico modo accogliere favorevolmente e con tutti gli onori gli ospiti: l’ex first lady Johnson ha bevuto la Kava quando venne nel Sud Pacifico come pure il Papa Giovanni Paolo II. Ma la bevanda della Kava non è l’ unico modo per cementare i rapporti. A volte, basta presentarsi agli altri con una radice di Kava per dare un segno di benvenuto e di pace. 
Nelle Fiji e a Tonga, la Kava permette che i partecipanti comunichino con il supernaturale. La Kava riafferma anche la  condizione gerarchica dei presenti non lasciando dubbi su determinati diritti e privilegi di alcuni soggetti. Ciò si può vedere nelle cerimonie convenzionali notando la disposizione dei posti a sedere, la fila che viene per prima servita, e le complesse e dettagliate procedure di preparazione della bevanda ricche di gesti simbolici comandate dagli elementi da rango maggiore (per esempio un capo-villaggio).


La cerimonia del Kava:

Immaginate una grande stuoia tessuta con le fibre delle foglie della palma da cocco con sopra una grande ciotola (Tanoa) di un legno molto duro con sotto delle corte zampe. Nella parte anteriore del Tanoa vi sono delle corde rossastre fatta con le fibre della buccia della noce di cocco. All’ estremità delle corde vi sono attaccate delle conchiglie bianche che saranno orientate verso un capo oppure verso l’ospite d’onore. Poi i partecipanti si mettono a sedere sulla stuoia intorno alla ciotola disposti a cerchio. Dietro il Tanoa prende posto l’uomo che preparerà la Kava ed alla sua destra quello che la servirà. La Kava sarà servita in tazze formate dalla mezza buccia della noce di cocco. Il Tanoa viene riempito di acqua ed il preparatore dispone una certa quantità di Kava in un panno che fungerà da setaccio, quindi immerge il panno nell’ acqua e comincia a massaggiarlo delicatamente. L’ acqua gradualmente prende un colore marrone ed opaco. Quando il preparatore ritiene sia arrivato il momento giusto viene offerta all’ ospite d’onore la prima tazza di Kava che giudicherà se la bevanda è troppo debole o troppo forte. Se è troppo debole il panno verrà rimesso in acqua per continuare la preparazione, se è troppo forte, verrà aggiunta un pò d’acqua. Una volta terminata definitivamente la preparazione il preparatore appoggia entrambe le mani sull’ orlo del Tanoa, applaudisce tre volte ed afferma ” il Kava è pronto, o mio capo !”. 
Ora sono tutti pronti a bere. Il preparatore immerge la tazza nella Kava e la dà all’uomo alla sua  destra che la passa (con il dito spesso immerso) a turno a tutti i partecipanti iniziando da quelli vicini a lui. Ogni bevitore applaude una volta in segno di accettazione e beve d’un fiato senza pausa. Poi il bevitore e il resto della gente seduta intorno al Tanoa applaude tre volte in segno di apprezzamento e la tazza viene ridata all’uomo accanto al preparatore che la riempirà nuovamente. Questo processo è ripetuto fino a che tutti non abbiano avuto una tazza da bere. Durante gli intervalli fra una tazza e l’altra, i bevitori rilassati parlano, cantano e raccontano storie. Gli intervalli non hanno una lunghezza determinata e tutto è lasciato alla discrezione del preparatore.  Infatti lo scopo della cerimonia non è quello di svuotare semplicemente il Tanoa il più rapidamente possibile, ma godere con gli altri l’ esperienza comune della Kava. Quando il Tanoa è vuoto, se il gruppo lo vuole, viene ripreparata un’altra ciotola di Kava fresca ed il giro continua, spesso per ore.


Scopi medicinali:

La Kava è stato usata in tutta l’ Oceania per calmare i nervi, indurre il rilassamento ed il sonno e combattere l’ affaticamento. Era bevuta per purificare gli apparati urinari, per dimagrire e per alleviare l’ asma e i reumatismi. Si pensava che la Kava fosse un toccasana per emicranie, spasmi e per calmare la sifilide ed la gonorrea. Ancora oggi molti isolani credono che la Kava ristabilisca la resistenza fisica,  sia afrodisiaca e lenisca i dolori di stomaco e molte altre indisposizioni. Oltre che bere la radice pestata, il kava è usata anche per purificare gli ambienti allo scopo di scacciare le malattie. 
La  Kava macerata usata nelle applicazioni ad uso esterno (impiastri) o masticare semplicemente la radice, fa parte degli altri metodi medicinali, anche se berla nella maniera tradizionale rimane il metodo più popolare. 
La sua attività ansiolitica e sedativa è particolarmente utile in soggetti con stato di ansia e tensione emotiva, con manifesta difficoltà ad addormentarsi, tremori, ipereccitabilità, tensioni, muscolari, tic nervosi, etc. Questa pianta non sembra che possa modificare in senso depressivo la vigilanza, come invece fanno i sedativi di sintesi. Un altro effetto della Kava, svolto a livello di sistema nervoso centrale,è quello di rilassare la muscolatura. Può provocare disturbi della pelle o allergie cutanee, che però scompaiono rapidamente dopo la sospensione dell’assunzione. Può aumentare l’effetto di quasi tutti gli psico-farmaci ed esaltare gli effetti dell’alcol sull’organismo. È sconsigliata l’assunzione durante la gravidanza. 
Chiaramente in questa pagina Web non si vogliono assolutamente dare consigli medici, sono solo un viaggiatore che ha gradito la Kava !. Tutto il materiale reperito nel Web e soprattutto tramite esperienze personali nei miei viaggi nel Sud Pacifico ha solo lo scopo di informare sulla tradizione della Kava, non incitare a berla. Dico questo perchè sebbene in Italia era reperibile liberamente presso le erboristerie con il nome di Kawa-Kawa o erba dell’Oceania fino agli inizi del 2002 ora è stata ritirata dal commercio per lieve tossicità epatica. (Fonte: http://www.farmacovigilanza.org/fitovigilanza/corsi/20020831.01.asp )


Origine:

È difficile definire con certezza l’ origine dell’ uso della Kava in Oceania poiché niente è stato scritto prima dell’arrivo degli europei, tuttavia esistono delle teorie avvallate dalla tradizione orale dei popoli del Pacifico tramandata da generazioni e generazioni: 
Newell ha sostenuto nel 1947 che la Kava è stata diffusa in tutta l’Oceania dai primordiali migratori Polinesiani originari dell’aree della Nuova Guinea e dell’ Indonesia. 
La seconda teoria afferma che la Kava proviene dal subcontinente Asiatico. Handy nel 1972 collegò infatti la cerimonia della Kava con la cerimonia del tè cinese. 
Williamson nel 1939 ha detto che la Kava fu portata dal sud dell’ India. 
Un’altra ipotesi la collega alla noce del Betel (il pepe indiano) masticata dagli indiani. Questi ultimi quando si trasferirono in Oceania, non avendo più a disposizione questa pianta, la sostituirono con le radici della Kava. 
Ma la teoria più recente e meglio accettata è quella di Vincent Lebot che con prove botaniche dimostrò che la tradizione della Kava è iniziata in qualche isola remota della Melanesia: forse a Vanuatu, oppure nelle isole Salomone o addirittura nella Nuova Guinea.


Ripartizione geografica:

Nel passato, la Kava si poteva trovare e consumare in quasi tutte le isole del Pacifico. Il consumo andava dalla Nuova Guinea alle Hawaii,  (tranne la Nuova Caledonia), dalla Nuova Zelanda alla maggior parte delle isole di Salomone. Attualmente, l’ uso è ristretto alla Polinesia occidentale, in particolare a Samoa e Tonga e alla maggior parte di Melanesia, soprattutto nelle isole Fiji. Può essere trovata anche nell’ isola di Pohnpei, in Micronesia. Completamente sparita invece nelle isole Cook, Tahiti e nell’ isola di Pasqua (Rapanui). 
Nelle Hawaii, la Kava chiamata anche” Awa ” è stata usata fino alla fine del diciannovesimo secolo. È stata usata dagli ” Ali’i ” (i capi  ed dagli ” Kahunas”  (uomini sapienti, saggi) come pure dagli ” uomini comuni ” sempre a scopo medicinale o di relax. Ma dopo il 1948 non fu piu’ bevuta malgrado la pianta continuasse a crescere (e continua anche oggi) spontaneamente nei luoghi Hawaiani più selvaggi. Oggi Tonga, Fiji e Samoa sono i centri di maggior consumo dove la cerimonia della Kava assume un importante simbolismo magico e religioso.


Significati della Kava come folclore:

Come si può immaginare molto folclore circonda la Kava. Gli aneddoti, i canti, le storie, i racconti popolari sulla Kava sono abbondanti. I miti e le leggende raccontano le proprietà 
e le origini della Kava. 
Un leggenda racconta che la Kava che è stata introdotta a Tonga dall’ isola di Lau nelle Fiji. 
Un’altra narra che la radice fu trovata sulla tomba di un lebbroso a Tonga e spiega perchè la Kava è stato usata un tempo soltanto nei rituali religiosi: la leggenda racconta che una coppia di sposi a Tonga, Feva’anga e sua moglie, uccise la loro figlia lebbrosa per farla mangiare (ricordo le tradizioni antropofaghe del Pacifico) al capo villaggio durante un periodo di carestia. Invece, il capo villaggio disse a Feva’anga di seppellire il corpo e di riportare la pianta che si sarebbe sviluppata nei pressi della tomba. Dopo alcune settimane una pianta di Kava si sviluppò in cima alla testa della figlia. In alcune versioni, la Kava è sostituita dalla canna da zucchero che si sarebbe sviluppata dalla vagina della figlia  sepolta. 
Da notare che il tema della Kava che cresce da un corpo in decomposizione meglio se sacrificato è solitamente collegato all’ idea che la Kava è una bevanda sacrificale. Dunque chi beve tale bevanda si trasforma simbolicamente in una vittima sacrificale senza però subire le materiali conseguenze. 
Un’altra leggenda spiega i poteri magici della pianta basandosi sul racconto di una donna che osservato un topo masticare la radice vide il ratto dapprima in coma e poi, in un secondo momento, rianimato, quasi risuscitato. 


Le Ricette:

La Kava Kava o semplicemente Kava è stata usata come calmante ed alleviante delle fatiche dalla gente del Pacifico del sud per ben tremila anni. Originalmente la bevanda era preparata dalle ragazze vergini che masticavano la radice sputandola nella ciotola per la preparazione della Kava. 
Questa è una delle ricette oramai abbandonate !. Oggi la bevanda della Kava  è preparata, nelle isole, mescolando la polvere della radice di Kava con acqua. L’odierna polvere di Kava (che si vende persino via internet) è estremamente fine e non richiede necessariamente una filtrazione. Il gusto di erbe è molto particolare, leggermente amarognolo (infatti in lingua Maori Kava significa “amaro”) e tende ad anestetizzare le labbra mentre l’aspetto è simile all’acqua di una pozzanghera.

 Preparazione tradizionale della Kava:

Versare circa 3 – 6 cucchiai da tavola di polvere di Kava (più o meno secondo le preferenze) in un pezzo di stoffa filtrante (vanno bene anche i collant e le bustine da tè) ed immergerlo in mezzo litro/ 1 litro d’acqua a temperatura ambiente.  Per almeno uno, due minuti bisogna strizzare e comprimere bene il panno per estrarre completamente i principi della polvere nell’ acqua . Chiaramente con tempi più lunghi  si ottiene un sapore più forte. 
Alla conclusione di questo processo la kava è pronta da bere. Chi trova il sapore della Kava troppo “sciapo” , può aggiungere zucchero oppure succo di frutta o le proprie erbe favorite come: liquirizia in polvere, zenzero grattato fresco, il cardamonio, la noce moscata, etc.

Nota: La Kava non è solubile in acqua, quindi per mantenere sospesa la polvere bisogna frequentemente mescolarla !

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La Kava

 

 

La kava e’ la bevanda piu’ famosa delle Fiji! 
E’ una bevanda che si beve in occasioni speciali: a un matrimonio, a un battesimo, a un funerale, a una cerimonia di benvenuto, al venerdi’ sera, all’arrivo di una persona speciale, quando una persona se ne va, o quando un apersona se n’e’ andata per ricordarla, per festeggiare un buon momento insieme, ecc…. quindi: SEMPRE!

La bevanda proviene dalla radice della pianta della Kava. La pianta cresce per 3-6 anni (anche di piu’ per kava molto speciali e forti), e poi e’ pronta per essere raccolta. Dalla radice si ricava una polvere di kava, che e’ la kava triturata. A volte in stada si vedono ragazzi che con un lungo bastone di metallo pestano la cava posta in un recipiente. Lo si fa in strada perche’ e’ l’unico posto con un suolo cosi’ duro. 
La polvere viene messa in un sacchetto di stoffa che funge da filtro e poi lo si mette nel grande recipiente dove si serve la Kava e vi si aggiunge acqua.
Si spreme il sacchetto facendo uscire il liquido biancastro finche’ non ne esce piu’ ed ecco che la Kava e’ pronta. 
La bevanda si beve servendosi di una ciotola ricavata dalle noci di cocco.

La bevanda si beve solo seguendo un certo rituale. 
Il Barmeci (parola che deriva da Barman), una persona non alta nella gerarchia, di solito un ragazzo giovane, prepara la Kava nell’apposito recipende (i solito un grande recipiente di legno con 3 gambe).
Quando la bevanda e’ pronta il Barmeci fa un discorso, e poi inizia a servire la prima ciotola alla persona piu’ importante (l’ospite, il piu’ veccho, gli sposi, ecc..), per continuare a turno finche’ tutti hanno preso la prima porzione.
E cosi’ via fino a quando il recipiente e’ finito.
Poi si riinizia a preparare una Kava nuova…finche’ non si e’ stanchi!

A proposito di stanchezza, la bevanda non ha grandi effetti strani, se non quello di rendere molto stanchi! Se si beve molta Kava potete stare certi che per tutta la notte andrete al bagno a pisciare. 
Quando la Kava e’ buona lascia sulla lingua e sul palato una strana sensazione di addormentamento…. 🙂 funny!

Prima di prendere in mano la ciotola per bere si deve battere le mani una volta, poi con la ciotola in mano si dice Bula a tutti e si bene in un sorso tutta la ciotola. Finito di bere, si rida’ la ciotola e si batte le mani 3 volte.

Si puo’ scegliere di bere o non bere quando si vuole…

Si beve Kava sempre a digiuno, solo quando si ha terminato i vari “round” si puo’ andare a mangiare.
Si puo’ iniziare a bere Kava solo con l’eta’ di 18 anni.

beh queste sono solo le basi di quello che caratterizza questa bevanda e il suo rituale!

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